Gianni Mosca – il grande umorista che comunque non riusciva in dieci libri a far ridere più di suo figlio Maurizio in dieci secondi di televisione – faceva anche il giornalista al seguito delle corse ciclistiche e scrisse una volta che quello che stava raccontando per un giornale milanese era proprio “un Giro Balmamion”, cognome onomatopeico a significare la ritrosia, la modestia di chi lo portava, cognome rimpicciolente, mimetico. In effetti Franco Balmamion divenendo ciclista importante curò il proprio personaggio soltanto per precisare che il cognome si scriveva tutto attaccato, e non Balma Mion, versione che pure sopravviveva in alcune placche del Canavese: comunque contava forte il soprannome di famiglia, magninot, spazzacamino (ma venne perduta l’occasione di ricordare che spazzacamino, ramoneur nel francese che era la lingua del suo villaggio valdostano e della sua seconda patria, la Francia appunto, era pure il soprannome di Maurice Garin primo vincitore, nel 1903, del Tour de France). Come magnanimità di lombi ciclistici Franco Balmamion offrì in tutto uno zio, Ettore, che era stato buon dilettante e che quando stringeva la mano a te repente amico del nipote e dunque suo, ti faceva urlare dal dolore. Niente altro. In due Giri d’Italia senza una vittoria di tappa Franco fu alla fine il migliore…

(dall’introduzione di Gian Paolo Ormezzano)